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Il Transfer price: l’onere della prova tra Fisco e contribuente

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E’ vigente una normativa denominata “transfer price”, che però è conosciuta specificamente in un contesto di addetti ai lavori. Il transfer price costituisce da sempre un’annosa questione e un argomento di centrale importanza per tutte le imprese ad ampio respiro internazionale e riguarda, nello specifico, la determinazione della congruità dei prezzi di trasferimento infragruppo praticati nello scambio di beni e/o servizi.

“In base al noto “principio di libera concorrenza”  – spiega il commercialista Lamberto Mattei – quando due o più imprese tra loro indipendenti pongono in essere tra di loro transazioni commerciali, le relative condizioni economiche e finanziarie devono essere generalmente determinate dalle forze di mercato.”

E quindi quando due o più imprese appartenenti allo stesso Gruppo multinazionale intrattengono rapporti commerciali, gli stessi non devono essere influenzati da politiche di pianificazione fiscale intercompany tenuto conto che, in base al suddetto principio, enunciato dall’articolo 9, paragrafo 1, del modello Ocse di convenzione, il prezzo stabilito nelle transazioni commerciali intercorse tra imprese associate deve corrispondere al prezzo che sarebbe stato convenuto tra imprese indipendenti per transazioni identiche o similari sul libero mercato.

E’ quanto emerge in una ricerca di staff pubblicata su Ecnews: in linea con le citate raccomandazioni internazionali, l’articolo 110, comma 7, Tuir prevede che: “Icomponenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, secondo le modalità e alle condizioni di cui all’articolo 31-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze,possono essere determinate, sulla base delle migliori pratiche internazionali, le linee guida per l’applicazione del presente comma”.

Sullo specifico tema, nel mese di luglio 2017, l’Ocse ha pubblicato la nuova versione delle linee guida sui prezzi di trasferimento infragruppo e, successivamente, in data 14 maggio 2018, il Ministro dell’Economia e delle Finanze ha approvato un apposito decreto, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 118 del 23 maggio 2018, che detta le regole concrete per l’applicazione del citato principio di libera concorrenza.

Con riferimento ad un aspetto molto importante, riferito all’analisi di comparabilità, l’articolo 3, comma 2, del succitato decreto ministeriale prevede che le caratteristiche economicamente rilevanti (c.d. “fattori di comparabilità”) che devono essere identificati nelle relazioni commerciali o finanziarie tra le imprese associate per delineare in modo accurato l’effettiva operazione tra di loro intercorsa, nonché per determinare se due o più operazioni siano comparabili tra loro, possono essere classificati come segue:

  1. termini contrattuali delle operazioni;
  2. funzioni svolte da ciascuna delle parti coinvolte nelle operazioni, tenendo conto dei beni strumentali utilizzati e dei rischi assunti, inclusi il modo in cui queste funzioni si collegano alla più ampia generazione del valore all’interno del gruppo multinazionale cui le parti appartengono, le circostanze che caratterizzano l’operazione e le consuetudini del settore;
  3. caratteristiche dei beni ceduti e dei servizi prestati;
  4. circostanze economiche delle parti e condizioni di mercato in cui esse operano;
  5. strategie aziendali perseguite dalle parti.

Un ulteriore profilo di fondamentale importanza riguarda il controllo societario.

La normativa domestica di riferimento prevede infatti che, per procedere alla rettifica dei ricavi e/o dei costi non conformi al principio di libera concorrenza, occorre che le cessioni o gli acquisti di beni e servizi siano avvenute fra un’impresa italiana ed una società non residente nel territorio dello Stato tra le quali esista un rapporto di controllo, di natura diretta o indiretta.

In merito, l’articolo 2 D.M. 14.05.2018, ha precisato che:

1.  per “imprese associate” si intende: l’impresa residente nel territorio dello Stato e le società non residenti allorché:

  • una di esse partecipa, direttamente o indirettamente, nella gestione, nel controllo o nel capitale dell’altra, o
  • lo stesso soggetto partecipa, direttamente o indirettamente, nella gestione, nel controllo o nel capitale di entrambe le imprese;

2. per “partecipazione nella gestione, nel controllo o nel capitale” si intende:

  • la partecipazione per oltre il 50% nel capitale, nei diritti di voto, o negli utili di un’altra impresa; oppure
  • l’influenza dominante sulla gestione di un’altra impresa, sulla base di vincoli azionari o contrattuali.

Delineato brevemente l’assetto normativo di riferimento, giova ricordare che la CTR Lombardia, sezione 3, con la sentenza n. 376/2019 del 25.01.2019, si è espressa sul tema dell’onere della prova tra Fisco e contribuente, con particolare riferimento alla corretta determinazione dei prezzi di trasferimento infragruppo.

Nello specifico, la ripartizione dell’onere della prova in caso di verifiche fiscali riguardanti i prezzi di trasferimento infragruppo, prevede che:

  • da un lato l’Amministrazione finanziaria deve dimostrare l’esistenza di transazioni tra imprese collegate con “evidenti discrepanze” rispetto a transazioni dello stesso genere su un mercato indipendente;
  • dall’altro il contribuente, secondo le regole ordinarie di vicinanza della prova ex articolo 2697 cod. civ., deve dimostrare che le transazioni sono intervenute per valori di mercato da considerarsi normali (ex articolo 9, comma 3, Tuir).

Sulla base di tali principi, il giudice del gravame ha ritenuto che il contribuente avesse regolarmente assolto all’onere probatorio richiesto in tema di transfer price, tenuto conto che le funzioni e l’organigrammadella consociata estera (residente in Germania), descritti e documentati in atti, erano risultati tali da rendere conto, in modo esauriente, della particolarità della società del Gruppo non residente.

Inoltre, è stata dimostrata l’attendibilità del metodo CUP utilizzato, sia per quanto riguardava le regole del mercato, garantite dalla presenza di soci tedeschi indipendenti, sia per quanto riguardava l’effettivo svolgimento di funzioni incisive ed importanti, quali la gestione della clientela, la gestione dei progetti, delle gare, dei servizi di assistenza.

Infine, con specifico riferimento all’utilizzo dei soggetti individuati come comparabili, le società scelte da parte dell’Agenzia delle entrate non trattavano gli stessi prodotti o le stesse attività della consociata tedesca, in quanto operavano con codici attività diversi e in annualità lontane rispetto all’anno 2010, in contestazione. (fonte: EcNews – Marco  Bargagli)

Rottamazione cartelle, possibile estensione anche ai tributi regionali e degli enti locali

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Roma – Consentire anche alle Regioni e agli Enti locali di prevedere una rottamazione delle entrate non riscosse, a seguito di provvedimenti di ingiunzione fiscale notificati dal 2000 al 2017. Lo prevede, in sintesi, un nuovo articolo inserito nell’ultima bozza di dl Crescita, di cui Public Policy ha preso visione, arrivato sul tavolo del pre Cdm di ieri pomeriggio. Un tema sul quale il commercialista Lamberto Mattei ha svolto con il suo staff una ricerca su quanto sta avvenendo:

Nel dettaglio, il nuovo articolo prevede che “con riferimento alle entrate, anche tributarie, delle regioni, delle province, delle città metropolitane e dei comuni, non riscosse a seguito di provvedimenti di ingiunzione fiscale notificati, negli anni dal 2000 al 2017, dagli enti stessi e dai concessionari della riscossione, i medesimi enti territoriali possono stabilire, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti destinati a disciplinare le entrate stesse, l’esclusione delle sanzioni relative alle predette entrate”.

Le Regioni e gli Enti locali dovranno quindi stabilire, con propri provvedimenti: il numero di rate e la relativa scadenza, che non può superare il 30 settembre 2021; le modalità con cui il debitore manifesta la sua volontà di avvalersi della definizione agevolata; i termini per la presentazione dell’istanza in cui il debitore indica il numero di rate con il quale intende effettuare il pagamento, nonché la pendenza di giudizi aventi a oggetto i debiti cui si riferisce l’istanza stessa, assumendo l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi; il termine entro il quale l’ente territoriale o il concessionario della riscossione trasmette ai debitori la comunicazione nella quale sono indicati l’ammontare complessivo delle somme dovute per la definizione agevolata, quello delle singole rate e la scadenza delle stesse.

La bozza di ddl prevede quindi la sospensione dei termini di prescrizione e di decadenza per il recupero delle somme oggetto di istanza, con immediata ripresa in caso di mancato, insufficiente o tardivo versamento dell’unica rata, o di una delle rate in cui è stato dilazionato il pagamento delle somme. In questo caso la definizione agevolata non avrà effetto. Vengono escluse dalla definizione: le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato; i crediti derivanti da pronunce di condanna della Corte dei conti; le multe, le ammende e le sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna; le sanzioni diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi dovuti agli enti previdenziali. Per le sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, la definizione si applicano limitatamente agli interessi. Per le Regioni e le Province a statuto speciali l’applicazione della norma avviene “in conformità e compatibilmente con le forme e con le condizioni di speciale autonomia previste dai rispettivi statuti”.

Pubblicati dal Ministero delle Finanze i dati relativi alle dichiarazioni redditi/Iva per l’anno 2017

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Roma – Il Ministero delle Finanze ha reso noti dei dati relativi alle dichiarazioni dei redditi persone fisiche (Irpef) e dichiarazioni IVA per l’anno di imposta 2017. Lo staff del dottor Mattei ha analizzato tali risultanze che evidenziano una pluralità di aspetti ed incidenze di interesse generale per l’economia italiana. Motivo per cui si è deciso di pubblicare tali risultanze.

“L’accelerazione impressa negli ultimi anni dal Dipartimento delle Finanze alle procedure di validazione statistica e le innovazioni nel processo legato alla dichiarazione precompilata, avviate dall’Amministrazione Finanziaria nel 2015, consentono di rendere disponibili in modo tempestivo i dati delle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche presentate nel 2018, a pochi mesi dalla scadenza del termine (31 ottobre 2018) e riferite all’anno di imposta 2017.

Quadro generale
E’ utile innanzitutto ricordare i dati macroeconomici dell’anno di riferimento: nel 2017 il PIL ha presentato una crescita del 2% in termini nominali e dell’1,6% in termini reali

Numero di contribuenti Irpef
Circa 41,2 milioni di contribuenti hanno assolto l’obbligo dichiarativo, direttamente attraverso la presentazione dei modelli di dichiarazione “Redditi Persone Fisiche” e “730”, o indirettamente attraverso la dichiarazione dei sostituti d’imposta (Certificazione Unica – CU).
Il numero totale dei contribuenti è aumentato di circa 340.000 soggetti (+0,83%) rispetto all’anno precedente.

Tipo di dichiarazione
Sono 20,7 milioni le persone fisiche che hanno utilizzato il modello 730 con un aumento di oltre 500.000 contribuenti rispetto all’anno precedente; 9,7 milioni di soggetti hanno presentato invece il modello “Redditi Persone Fisiche”, mentre i dati dei restanti 10,8 milioni di contribuenti, non tenuti a presentare direttamente la dichiarazione, sono stati acquisiti tramite il modello CU compilato dal sostituto d’imposta.

Reddito complessivo dichiarato
Il reddito complessivo totale dichiarato ammonta a circa 838 miliardi di euro (-5 miliardi rispetto all’anno precedente, -0,6%) per un valore medio di 20.670 euro, in flessione dell’1,3% rispetto al reddito complessivo medio dichiarato l’anno precedente.
Il calo del reddito complessivo totale e medio è dovuto in parte agli effetti transitori dell’introduzione del regime per cassa per le imprese in contabilità semplificata[3]ed in parte al calo del reddito da lavoro dipendente.
L’analisi territoriale conferma che la regione con reddito medio complessivo più elevato è la Lombardia (24.720 euro), seguita dalla Provincia Autonoma di Bolzano (23.850 euro), mentre la Calabria presenta il reddito medio più basso (14.120 euro); anche nel 2017, quindi, rimane  cospicua la distanza tra il reddito medio delle regioni centro-settentrionali e quello delle regioni meridionali.

Tipologie di reddito dichiarate
I redditi da lavoro dipendente e da pensione rappresentano circa l’84% del reddito complessivo dichiarato, nello specifico, il reddito da pensione rappresenta circa il 30% del totale del reddito complessivo.
Il reddito medio più elevato è quello da lavoro autonomo, pari a 43.510 euro mentre il reddito medio dichiarato dagli imprenditori (titolari di ditte individuali) è pari a 22.110 euro. Il reddito medio dichiarato dai lavoratori dipendenti è pari a 20.560 euro, quello dei pensionati a 17.430 euro. Infine, il reddito medio da partecipazione in società di persone ed assimilate risulta di 18.380 euro. Si ricorda che la quasi totalità dei redditi da capitale è soggetta a tassazione sostitutiva e non rientra pertanto nell’Irpef.
E’ opportuno ribadire che per “imprenditori” nelle dichiarazioni Irpef si intendono i titolari di ditte individuali, escludendo pertanto chi esercita attività economica in forma societaria; inoltre la definizione di imprenditore non può essere assunta come sinonimo di “datore di lavoro” in quanto la gran parte delle ditte individuali non ha personale alle proprie dipendenze. Sarebbe pertanto improprio utilizzare i dati sopra riportati per confrontare i redditi degli “imprenditori” con quelli dei “dipendenti”[6].
L’analisi dell’andamento dei redditi medi delle singole categorie di contribuenti evidenzia che, in confronto al 2016, crescono in misura significativa i redditi medi da lavoro autonomo (+4,2%) e d’impresa (+3,8%, al netto dei soggetti in perdita)[7], anche per effetto delle crescenti adesioni al regime forfetario: la fuoriuscita dalla tassazione ordinaria di imprenditori e lavoratori autonomi di piccole dimensioni, che dichiarano normalmente redditi bassi, determina infatti un aumento del reddito medio dichiarato soggetto a Irpef ordinaria. Cresce anche il reddito medio da partecipazione (+2,2%).
Il reddito medio da pensione mostra una crescita dell’1,5%, confermando il trend degli anni precedenti, mentre il reddito medio da lavoro dipendente accusa una leggera flessione (-0,6%). Tuttavia, se si includono nel reddito medio da lavoro dipendente i premi di produttività, tassati separatamente ad aliquota agevolata, per i quali nel 2017 sono state rivisti ammontare e soglie di fruibilità, la variazione risulta inferiore (-0,4%). In tale ambito, va evidenziato l’aumento del numero di lavoratori con contratti a tempo determinato (+14,7%), presumibilmente a causa del venir meno della decontribuzione per le nuove assunzioni, previste per due anni dal “jobs act” che ha determinato una ricomposizione delle assunzioni a favore di forme contrattuali temporanee. Inoltre, si registrano oltre 294.300 soggetti (1,3% del totale lavoratori dipendenti, con una crescita del 38,4% rispetto al 2016) che hanno richiesto la liquidazione mensile del TFR, per un ammontare di circa 238 milioni di euro (valore medio annuo di 808 euro).
Nel 2017 l’ammontare del reddito da fabbricati soggetto a tassazione ordinaria ammonta a 27,1 miliardi di euro, con una riduzione dell’1,6% rispetto all’anno precedente, a causa dell’aumento della tassazione sostitutiva.

Principali novità
Come già anticipato, la nuova disciplina della tassazione sostitutiva dei premi di produttività, introdotta nel 2016, prevede un innalzamento della soglia del reddito da lavoro dipendente da 50.000 euro a 80.000 euro e dell’ammontare del premio soggetto a tassazione agevolata che passa da 2.000 euro a 3.000 euro e sale a 4.000 euro per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro e se i contratti collettivi aziendali o territoriali sono stati stipulati fino al 24 aprile 2017. Nel 2017 tale agevolazione ha interessato oltre 2,1 milioni di soggetti, ossia un dipendente su dieci, per un ammontare di circa 2,7 miliardi di euro di retribuzione (+35,4% rispetto al 2016). L’agevolazione consiste nella tassazione ad aliquota agevolata del 10% su questa parte di retribuzione.
La Legge di Bilancio 2017 ha introdotto un regime fiscale speciale (disciplina dei neo-residenti) riservato alle persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia e prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero e calcolata in via forfetaria nella misura di 100.000 euro per ciascun periodo d’imposta in cui risulta valida l’opzione. Dalle dichiarazioni risultano poco meno di 100 soggetti ad aver fruito dell’agevolazione, per un’imposta versata pari a circa 8 milioni di euro.
Per i redditi da locazione è stata estesa la cedolare secca ai comodatari ed affittuari che locano gli immobili per periodi non superiori a 30 giorni (cd. locazione breve) ed inoltre se i contratti sono conclusi con l’intervento di soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali on-line, è prevista l’applicazione di una ritenuta del 21%. I soggetti che hanno fatto ricorso a tale agevolazione sono oltre 7.200 per un ammontare di 44,4 milioni di euro.
Per l’anno in esame la tassazione sostitutiva ha interessato circa 2,4 milioni di soggetti (+11,5% rispetto al 2016), per un ammontare di imponibile di 14,4 miliardi di euro (+8,1% in caso di aliquota ordinaria e +21,4% in caso di aliquota ridotta per canone concordato) e un’imposta dichiarata di 2,6 miliardi di euro (di cui l’83% derivante da aliquota al 21%).

Imposta netta 
L’imposta netta totale dichiarata è pari a 157,5 miliardi di euro, (+0,9% rispetto all’anno precedente).
Al netto degli effetti del bonus 80 euro, l’imposta netta Irpef risulta pari in media a 5.140  euro e viene dichiarata da circa 30,7 milioni di soggetti, pari a circa il 75% del totale dei contribuenti. Oltre 10,5 milioni di soggetti hanno un’imposta netta pari a zero. Si tratta prevalentemente di contribuenti con livelli reddituali compresi nelle soglie di esenzione, ovvero di coloro la cui imposta lorda si azzera per effetto delle detrazioni riconosciute dal nostro ordinamento. Inoltre, considerando i soggetti la cui imposta netta è interamente compensata dal bonus “80 euro”, i soggetti che di fatto non versano l’Irpef salgono a circa 12,9 milioni.

Analisi per classi di reddito
Analizzando i contribuenti per fasce di reddito complessivo si osserva che il 45% dei contribuenti, che dichiara solo il 4% dell’Irpef totale, si colloca nella classe fino a 15.000 euro; in quella tra i 15.000 e i 50.000 euro si posiziona circa il 50% dei contribuenti, che dichiara il 57% dell’Irpef totale, mentre solo il 5,3% dei contribuenti dichiara più di 50.000 euro, versando il 39,2% dell’Irpef totale.
Si rammenta che i soggetti con un reddito complessivo maggiore di 300 mila euro non sono più tenuti al pagamento del contributo di solidarietà del 3% sulla parte di reddito eccedente tale soglia.

Addizionale Regionale e Comunale
L’addizionale regionale Irpef ammonta nel 2017 a circa 11,9 miliardi di euro (invariata rispetto al 2016). L’addizionale regionale media è pari a 410 euro. Il valore più alto si registra nel Lazio (610 euro), il valore più basso si rileva in Basilicata (270 euro).
L’addizionale comunale ammonta invece complessivamente a 4,8 miliardi di euro, in aumento dello 0,8% rispetto al 2016, con un importo medio pari a 190 euro, che varia dal valore massimo di 250 euro nel Lazio, al valore minimo di 60 euro nella Provincia autonoma di Bolzano.

Dichiarazioni IVA

Da questa annualità la pubblicazione dei dati delle dichiarazioni ai fini IVA viene anticipata al mese di marzo, a seguito dell’anticipo della scadenza per la presentazione della dichiarazione IVA.
Sono circa 4,8 milioni i contribuenti che hanno presentato la dichiarazione Iva per l’anno d’imposta 2017, in calo rispetto all’anno precedente (-2,8%), a causa principalmente della mancata presentazione della dichiarazione da parte dei soggetti che hanno aderito al regime forfetario.
Le operazioni imponibili dichiarate per l’anno d’imposta 2017 sono pari a 2.103 miliardi di euro (+0,9% rispetto al 2016), mentre il volume d’affari dichiarato è pari a 3.417 miliardi di euro, in aumento del 4,3%.
Per l’anno d’imposta 2017, l’Iva di competenza stimata è risultata pari a 88,8 miliardi di euro. Il dato non risulta confrontabile con quello dell’anno precedente[8], in quanto il procedimento di calcolo è stato oggetto di importanti affinamenti, per accogliere le importanti modifiche normative intervenute nel 2017.
L’anno di imposta in esame ha visto, infatti, a partire dal 1° luglio 2017, l’estensione del meccanismo dello split payment anche alle operazioni effettuate nei confronti delle società controllate da pubbliche amministrazioni centrali e locali, nonché delle società quotate incluse nell’indice FTSE MIB. Dalle dichiarazioni relative all’anno d’imposta 2017, sono 505.855 i contribuenti (+51 % rispetto al 2016) che hanno effettuato operazioni in split payment per un ammontare di 198,3 miliardi di euro (+68%). Da un’analisi per settore economico si può osservare che il 54% dell’ammontare è concentrato in quattro settori: energetico (16,3%), manifatturiero (15%), costruzioni (11,3%) e commercio (11,3%).
Uno degli effetti dell’estensione dello split payment, che determina  per i fornitori il mancato incasso dell’Iva sulle cessioni, non consentendo le compensazioni con i crediti generati dall’Iva pagata sugli acquisti, è stato l’incremento delle posizioni creditorie dei contribuenti.  Il “Totale Iva a credito” passa dai 42,851 miliardi di euro del 2016 ai 48,841 miliardi di euro del 2017, con un incremento del 14%, l’ammontare complessivo del “Credito da computare in detrazione e/o in compensazione nell’anno successivo” è risultato pari a 40,733 miliardi, incrementandosi, quindi, del 12,3%; il rimborso annuale richiesto è stato pari a 7,8 miliardi con un incremento del 13,8%, mentre il rimborso infrannuale utilizzato ammonta a 4,4 miliardi, incrementandosi del 15,4%. Come rilevato in una precedente analisi statistica disponibile sul sito del Dipartimento delle Finanze, è inoltre aumentata la rapidità dei rimborsi IVA da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Le sopracitate situazioni creditorie sono collegate anche all’applicazione del meccanismo del “reverse charge”. I settori di attività più interessati dall’applicazione di tale meccanismo risultano quello energetico, per il quale si rilevano gli importi più elevati (operazioni per circa 112 miliardi di euro) e il subappalto edile per il quale si registra il numero più elevato di operatori coinvolti (oltre 250.000 soggetti).
Con l’anno d’imposta 2017 è stata introdotta la “Comunicazione delle liquidazioni periodiche IVA”, da presentare entro l’ultimo giorno del secondo mese successivo ad ogni trimestre con l’obiettivo di agevolare la verifica tempestiva dell’adeguatezza dei versamenti effettuati.
In armonia con tale innovazione, il modello di dichiarazione annuale è stato modificato in modo da non consentire più la traslazione nel versamento annuale di Iva periodicamente dovuta e non versata. Dalle dichiarazioni IVA/2018 emerge un incremento di 1,7 miliardi di versamenti effettuati alla loro corretta scadenza periodica.”

 

Organi di controllo delle s.r.l. il commercialista Lamberto Mattei: “attenzione alla decorrenza dei nuovi obblighi”

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Roma – Dubbi interpretativi rigurdano l’aspetto normativo degli organi di controllo nelle s.r.l. Lo staff del commercialista Lamberto Mattei, a pochi giorni dell’entrata in vigore dei nuovi obblighi chiarisce in lungo ed in largo la natura della normativa. “La nuova formulazione dell’articolo 2477 cod. civ., in vigore dal 16 marzo, – si legge in una ricerca – rivoluziona le logiche relativa alla necessità di prevedere l’organo di controllo nelle società: è prevista una specifica disposizione in merito alla decorrenza delle previsioni relative alla necessità di adeguare lo statuto sociale, con un differimento al 16 dicembre che non è detto riguardi anche la nomina del sindaco o del revisore. Sul punto, comunque, la relazione di accompagnamento sembrerebbe consentire il rinvio al 16 dicembre.

Lo scorso 16 marzo 2019 sono entrate in vigore le nuove previsioni contenute nell’articolo 379 D.Lgs. 14/2019, che sono intervenute a modificare l’articolo 2477 cod. civ., disposizione che regolamenta l’obbligo di istituzione dell’organo di controllo nelle società (il codice della crisi entra effettivamente in vigore il 15 agosto 2020, ma per alcune previsioni, come quella in commento, viene espressamente fissata l’efficacia al 16 marzo 2019). L’articolo 379 D.Lgs. 14/2019 revisiona in molte parti la disciplina del controllo societario.

In particolar modo viene modificato il presupposto che innesca l’obbligo di nomina del sindaco o del revisore(quello dimensionale, previsto alla lett. c) dell’articolo 2477 cod. civ.): mentre in precedenza era disposto un rinvio all’articolo 2435-bis cod. civ. (quindi l’obbligo di nomina ricorreva quando la società sforava i limiti per l’utilizzo del bilancio in forma abbreviata, diventando conseguentemente soggetta all’obbligo di redazione del bilancio in forma ordinaria), oggi vengono individuati dei parametri del tutto autonomi da quelli riguardanti la scelta della forma di bilancio. Si tratta infatti di verificare il limite di 2 milioni di euro per attivo o ricavi, o ancora il numero medio di 10 dipendenti, ma, soprattutto, la norma afferma che è sufficiente il superamento anche solo di uno dei parametri citati, per due periodi consecutivi.

L’articolo 379, comma 3, D.Lgs. 14/2019 contiene una disciplina transitoria e dispone quanto segue: “Le società a responsabilità limitata e le società cooperative costituite alla data di entrata in vigore del presente articolo, quando ricorrono i requisiti di cui al comma 1, devono provvedere a nominare gli organi di controllo o il revisore e, se necessario, ad uniformare l’atto costitutivo e lo statuto alle disposizioni di cui al predetto comma entro nove mesi dalla predetta data. Fino alla scadenza del termine, le previgenti disposizioni dell’atto costitutivo e dello statuto conservano la loro efficacia anche se non sono conformi alle inderogabili disposizioni di cui al comma 1. Ai fini della prima applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 2477 del codice civile, commi secondo e terzo, come sostituiti dal comma 1, si ha riguardo ai due esercizi antecedenti la scadenza indicata nel primo periodo”. Il primo elemento da segnalare è il fatto che, per valutare l’applicazione delle nuove previsioni in sede di prima applicazione, occorre osservare i bilanci 2017 e 2018, quindi di fatto il problema si pone immediatamente. Il punto centrale è però il rinvio di 9 mesi, che pone la scadenza degli adempimenti al 16 dicembre 2019.

Proprio su questo punto occorre proporre un’osservazione: non pare affatto scontato che la formulazione normativa riportata consenta di rinviare a dicembre la nomina del revisore, ma piuttosto parrebbe riferirsi solo alla necessità dell’adeguamento dello statuto e dell’atto costitutivo.

Letteralmente, infatti, la previsione pare divisa in due parti autonome e, si potrebbe concludere, il differimentocontenuto al termine del periodo in commento dovrebbe riguardare solo l’adeguamento degli statuti e non la nomina del sindaco o del revisore.

Se questa fosse la lettura corretta, ricordando che fino all’aggiornamento degli statuti l’attuale contenuto mantiene validità anche se non conforme alle previsioni dell’attuale articolo 2477 cod. civ., in taluni casi occorrerebbe già da subito preoccuparsi della nomina del revisore. In particolare:

  • se lo statuto oggi richiama i limiti previsti dall’articolo 2435-bis cod. civ. quella previsione statutaria mantiene validità, almeno sino al momento in cui sarà adeguato lo statuto, quindi al più tardi entro il 16 dicembre. Pertanto, sino al 16 dicembre, l’assemblea può procrastinare la nomina dell’organo di controllo;
  • al contrario, nei casi in cui lo statuto facesse un generico richiamo all’articolo 2477 cod. civ., in sede di approvazione del bilancio 2018 (al superamento dei limiti) si sarebbe già nelle condizioni di nominare l’organo di controllo/revisore, nomina che dovrà avvenire a cura dell’assemblea entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio stesso.

Va però segnalato che, a commento dell’articolo 379, la relazione accompagnatoria al D.Lgs. 14/2019 afferma: “Il comma 3, sulla base di un’osservazione della II Commissione (Giustizia) della Camera, fissa in nove mesi il termine entro il quale le società interessate all’intervento dovranno provvedere alla compiuta costituzione degli organi di controllo. Un termine più ampio non garantirebbe il pieno funzionamento degli organi alla data di entrata in vigore della riforma e, soprattutto, dei sistemi di allerta. L’ultimo comma allinea l’articolo 92 delle disposizioni di attuazione del codice civile alla modifica concernente l’ambito applicativo dell’articolo 2409 c.c. prevista dal comma 2”.

La relazione accompagnatoria, quindi, pare rendere applicabile il differimento di 9 mesi anche all’obbligo di nomina dell’organo di controllo.

Sul punto vale comunque la pena osservare che, se già la società ha coscienza di aver superato i limiti fissati dall’articolo 2477 cod. civ., forse vale la pena provvedere già da subito alla nomina del revisore; questo, oltre a essere un atteggiamento cauto nella interpretazione della disposizione richiamata, certamente facilita anche l’attività del revisore designato, che ha quindi la possibilità di iniziare la propria attività di controllo con le verifiche periodiche già nel corso del 2019, piuttosto che trovarsi a dover valutare a posteriori il bilancio relativo ad una annualità sostanzialmente già chiusa.” Per ogni info ulteriore si può contattare lo Studio SARCC

Controversie tributarie in diminuzione, il commercialista Lamberto Mattei: “monitoraggio costante nell’interesse del contribuente”

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Roma – Alla data del 31 dicembre 2018 le controversie tributarie pendenti, pari a 373.685, mostrano una riduzione del 10,34% rispetto al 31 dicembre 2017, rilevando un trend in costante diminuzione. Le controversie instaurate in entrambi i gradi di giudizio nel quarto trimestre 2018, pari a 50.294, registrano una riduzione del 4% rispetto all’analogo periodo del 2017. Le controversie definite sono state 74.442, con un aumento di circa il 9% rispetto al medesimo periodo del 2017. “Siamo in azione di costante monitoraggio su questo fronte – spiega il commercialista Lamberto Mattei – e con la tutela del contribuente non possiamo che esprimere apprezzamento per la costante diminuzione. Fatto che si rende possibile solo grazie ad una attenta gestione delle pratiche e nel fornire ai contribuenti consigli reali, obiettivi che lo pongono al riparo da lunghi procedimenti. Oltre che dal fisco, infatti, sin troppo spesso il contribuente diventa ostaggio di azioni legali in questi settori, consigliate anche per mero interesse di attivazione procedimenti. Noi  – conclude Mattei – poniamo alla nostra base il contribuente e le azioni delle nostre iniziative hanno contribuito in maniera determinante a ridurre le controversie”.

In particolare, le nuove controversie presentate in primo grado presso le Commissioni tributarie provinciali (CTP) – si legge nella ricerca – sono state pari a 35.679, in diminuzione dell’1,3%; i ricorsi definiti, pari a 56.007, registrano un aumento del 10,4%.Nelle Commissioni tributarie regionali (CTR), gli appelli pervenuti nel medesimo periodo, pari a 14.615, risultano in calo del 9,7%. Le definizioni, pari a 18.435 provvedimenti, hanno, invece, registrato una crescita del 6,6%. Nelle CTP la quota di giudizi completamente favorevoli all’Ente impositore si è attestata al 45%, per un valore complessivo di 2.598,16 milioni di euro, mentre quella dei giudizi completamente favorevoli al contribuente è stata di circa il 31%, per un valore di 1.504,85 milioni di euro. La percentuale delle controversie concluse con giudizi intermedi è stata di circa l’11%, per un valore complessivo di 647,63 milioni di euro. Nelle CTR la quota di giudizi completamente favorevoli all’Ente impositore è stata del 45%, per un valore complessivo di 1.888,50 milioni di euro, quella dei giudizi completamente positivi nei confronti del contribuente è stata di circa il 36%, per un valore complessivo di 1.198,11 milioni di euro. Le controversie concluse con giudizi intermedi rappresentano circa l’8%, per un valore complessivo di 625,95 milioni di euro Nel quarto trimestre il 57% degli atti processuali collegati alle controversie pervenute nei due gradi di giudizio è stato depositato utilizzando il canale telematico. In dettaglio, nel periodo sono stati inviati telematicamente il 23% degli atti introduttivi, il 49% delle controdeduzioni e il 65% degli altri atti processuali.

Il microcredito spiegato a Report dal presidente Baccini, il commercialista Lamberto Mattei: “finalmente si spiegano gli obiettivi dell’ente”

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Roma – Ha suscitato molto interesse, il servizio andato in onda ieri sera durante la tramissione Report su Rai Tre in cui è stato intervistato il presidente dell’Ente Nazionale per il Microcredito Mario Baccini. “Finalmente – ha spiegato Lamberto Mattei – inizia ad approdare l’informazione sul ruolo di questo Ente sulla cui tematica abbiamo già da tempo costituito una squadra di lavoro. Le soluzioni per le aziende ci sono, mancano le professionalità per curare le pratiche, l’informazione necessaria agli imprenditori. Siamo dunque soddisfatti di essere stati precursori su questo fronte”. Roma 19 Marzo 2019

Iniziative sociali tributarie, il commercialista Lamberto Mattei: “porteremo Sdebitalia anche in Abruzzo”

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L’Aquila – Ha suscitato molto interesse nel panorama nazionale l’iniziativa “Sdebitalia”, associazione di cui è presidente il dott. Gilberto Di Benedetto. Ma ad annunciare un imminente approdo in Abruzzo di questa struttura è il commercialista Lamberto Mattei impegnato a tutto campo nelle azioni sociali a difesa dei contribuenti.  “L’analisi del nostro staff – ha spiegato Mattei – ha preso in considerazione molti aspetti relativi alla regione Abruzzo, sulla quale intendiamo essere presenti, proprio per l’incidenza di problematiche sociali che affliggono molti contribuenti. L’intendimento è quello di creare un asse Lazio Abruzzo”. Sdebitalia in pratica tende ad individuare  metodi e modi per sensibilizzare le Banche a rimettere i debiti ai debitori della stessa con la messa  a punto di un sistema individuato ad hoc.  Sdebitalia si rivolge come sportello di ausilio a debitori per i quali la banca sia dal punto di vista dell’indigenza  patrimoniale non ha convenienza a mettere in atto  procedure esecutive dalle quali, considerando i costi ai quali la banca  andrebbe incontro, non ne scaturirebbe alcun beneficio. A breve, comunque la stessa organizzazione ha annunciato un evento pubblico di presentazione che dovrebbe svolgersi proprio a L’Aquila.

Popolo partite Iva, il commercialista Lamberto Mattei: “ridotta la tempistica dei rimborsi fiscali”

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Roma – Il team del commercialista Lamberto Mattei ha consultato le statistiche sui rimborsi IVA erogati dall’Agenzia delle entrate negli anni 2017 e 2018. Attraverso diverse sinergie ed azioni intraprese con il “Popolo delle Partite Iva” – spiega Mattei – abbiamo spinto in tutti i modi negli anni precedenti, la macchina ministeriale  al fine di rafforzare il rapporto con i cittadini e le imprese.  Abbiamo monitorato costantemente l’Amministrazione finanziaria che  ha accelerato la tempistica di erogazione dei rimborsi fiscali. Tale accelerazione è stata favorita sia dall’introduzione di una sistematica valutazione del livello di rischio dei contribuenti, sia dalle nuove modalità di pagamento che, a partire dal 1° gennaio 2018, viene effettuato direttamente dall’Agenzia delle entrate.”

Nell’ultimo biennio – si legge nella ricerca del team –  non è stato necessario richiedere documentazione aggiuntiva alla maggior parte dei contribuenti (il 51,9%) in quanto automaticamente classificati a “basso rischio”. I tempi medi per ottenere un rimborso dalla data della richiesta si sono ridotti dai 103 giorni nel 2017 agli 82 giorni nel 2018 (da 14,7 settimane a 11,7 settimane, -20,4%). Nella metà dei casi sono ora sufficienti meno di 46 giorni per ottenere un rimborso IVA. La fase del processo che è stata maggiormente accelerata è quella che intercorre tra l’approvazione e l’erogazione del rimborso, che è passata da 25 giorni nel 2017 a 7 giorni nel 2018 (da 3,6 settimane a 1 settimana, con una riduzione percentuale del -72%). Infatti, grazie alle novità normative introdotte a fine 2017, il pagamento viene effettuato direttamente dall’Agenzia delle entrate senza più ricorrere all’attività precedentemente demandata agli Agenti della riscossione.

Continueremo dunque – ha concluso il commercialista Lamberto Mattei – a svolgere il nostro ruolo con incidenza a livello nazionale, poichè con le sinergie alcuni risultati sono visibili nell’interesse del contribuente”.

Le grandi opportunità del microcredito, intervista al commercialista Lamberto Mattei: “il nostro team per la concretezza”

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Roma 11  MAR 2019 – Oggi più che mai è  necessario individuare forme e strumenti in ambito finanziario per dare risposte concrete all’utenza. Un tema sul quale lo studio Sarcc di cui è founder il commercialista Lamberto Mattei è leader di ricerca e attuazione. Parliamo oggi di  microcredito  ossia, quello strumento finanziario che ha lo scopo di rispondere alle esigenze di inclusione finanziaria di coloro che presentano difficoltà di accesso al credito tradizionale. Non si tratta semplicemente di un prestito di piccolo importo, ma di un’offerta integrata di servizi finanziari e non finanziari. Ciò che contraddistingue il microcredito dal credito ordinario è l’attenzione alla persona, che si traduce con l’accoglienza, l’ascolto e il sostegno ai beneficiari dalla fase pre-erogazione a quella post-erogazione, nonché la particolare attenzione prestata alla validità e alla sostenibilità del progetto. Tutto si riconduce ad un ente nazionale che esamina e gestisce le varie fasi di concessione. UfficiStampaNazionali ha intervistato il commercialista Lamberto Mattei, founder del noto studio Associato Sarcc di Roma: “Lo strumento del microcredito, – spiega Mattei –  nella forma di “microcredito imprenditoriale”, si rivolge a tutti coloro che intendono avviare o potenziare un’attività di microimpresa o di lavoro autonomo e/o che hanno difficoltà di accesso al credito bancario. Per garantire la massima efficienza nella trattazione delle pratiche abbiamo costituito una vera e propria squadra di professionisti quali: Vittorio Fiorentini, Michela Caviglia, Walter Cillaroto, Jacopo Giannetti, Marta Monoscalco, Vitaliano Capicotto.

Ma veniamo all’approfondimento-intervista al commercialista Lamberto Mattei:

D. Cos’è il microcredito?

Microcredito è macrofiducia Se il credito è “micro”, la fiducia invece è “macro” e ne rappresenta l’elemento sostanziale. Senza fiducia non esiste credito. Grande o piccolo che sia.

Negli ultimi anni, poiché il credito ordinario non riesce a soddisfare tutte le esigenze delle comunità alle prese con la crisi economica, i piccoli crediti basati sulla fiducia si sono moltiplicati: per poter pagare le bollette o l’affitto, per assistere gli anziani, per affrontare le spese di farmaci o le cure sanitarie, per pagare qualche rata del mutuo della casa. Risorse necessarie per avviare o sostenere una piccola attività, per far fare il giro di boa a chi lavora con un contratto atipico, per evitare di finire nelle mani degli usurai.

In sostanza – prosegue Mattei – si tratta di  un prestito piccolo: una caratteristica del microcredito è che si tratta di piccoli importi per piccoli progetti. Ma in quello che sembra uno dei più efficaci strumenti di lotta contro la povertà c’è anche altro. Non è un caso che non esista un’unica definizione di microcredito. Non c’è un’unica ricetta. Ci sono però degli ingredienti fondamentali, che non possono mancare:

  • Un ammontare ridotto (per l’Unione Europea, ad esempio, con microcredito si intendono prestiti di valore inferiore a 25.000 euro).
  • Uno scopo diverso dal semplice consumo: l’avvio di attività produttive e commerciali, la creazione di un lavoro che possa interrompere il circolo della povertà, dell’elemosina, del necessario ricorso all’usura, un aiuto a superare temporanee situazioni di crisi.
  • E soprattutto, la fiducia.

“Dare fiducia alla persona, alle idee, ai progetti è alla base dell’intuizione della banca cooperativa locale”.

Dottor Mattei, cosa si intende per Garanzia solidale?

“Credito” deriva etimologicamente da “credere”. Avere fiducia. Chi possiede molto dimostra facilmente di essere in grado di restituire un prestito e non fa fatica ad ottenerlo. Per chi è “non bancabile” invece entra in gioco la fiducia, perché ci si può sentire garantiti dalla conoscenza personale del debitore, da una sua storia creditizia seria e corretta, dall’opinione di un terzo che si fa garante. Si parla in questi casi di garanzia “solidale”. Il rischio viene attenuato da patti di fiducia, da incentivi basati su prestiti di volume progressivamente crescente, dalle reti di riferimento.

Se il credito è “micro”, la fiducia invece è “macro”. Senza fiducia non esiste credito. Grande o piccolo che sia. Dare fiducia alla persona, alle idee, ai progetti, è alla base dell’intuizione della banca cooperativa locale, del mutualismo e della solidarietà. E se la banca dà fiducia, allora tutta la comunità ne trae giovamento e la fiducia si moltiplica.

Il microcredito non è una “riserva” di territorio per le Caritas o le Ong. Infatti in Italia, la maggior parte dei richiedenti piccoli prestiti è italiana. Ad esempio in Veneto i richiedenti microcredito sei volte su dieci sono italiani. La fascia di età va dai 40 ai 50 anni. In gran parte sono coppie con figli. Il 60,7% vi si rivolge per bollette e affitto. Il 16,4% per spese mediche o scolastiche..

Numero beneficiari  in Italia e importi erogati nel 2013. Fonte: elaborazioni Federcasse su dati Federcasse e European Microfinance Network. Dati a dicembre 2013.

Quali sono gli ambiti di riferimento per il microcredito?

Tre sono gli ambiti di riferimento del microcredito:

  1. il microcredito produttivo
  2. il microcredito sociale
  3. il microcredito agli studenti

 

Dottor Mattei, e per microcredito produttivo cosa si intende?

Si basa su finanziamenti di importo non superiore ai 25 mila euro, non assistiti da garanzie reali ma accompagnati da prestazioni di assistenza e monitoraggio. È rivolto a persone fisiche, società di persone, società a responsabilità limitata semplificata e società cooperative e ha lo scopo di avviare attività di lavoro autonomo o di microimpresa.

Il denaro può essere utilizzato per l’acquisto di beni, di servizi strumentali all’attività svolta, per la retribuzione di nuovi dipendenti o soci lavoratori, per il pagamento di corsi di formazione.

Però, quando si parla di microcredito, non si parla solo di piccoli finanziamenti ma anche di supporto: alla strategia di sviluppo e all’analisi di soluzioni per migliorare l’attività, alla gestione contabile e finanziaria, alla gestione del personale, alla definizione dei prezzi e delle strategie di vendita con l’ausilio di studi di mercato, alla soluzione di problemi legali, fiscali e amministrativi.

Il microcredito sociale?

È rivolto a persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità economica e sociale per importi non superiori ai 10 mila euro, non assistiti da garanzie reali ma accompagnati da servizi ausiliari di bilancio familiare. Lo scopo del microcredito sociale è l’inclusione sociale o finanziaria del beneficiario. I prestiti sono erogati a condizioni più favorevoli di quelle di mercato e prevedono un piano di ammortamento di 5 anni.

Il microcredito agli studenti?

È finalizzato al pagamento di corsi di formazione, anche universitari o post-universitari, allo scopo di agevolare l’inserimento nel mondo del lavoro. La durata del microcredito è coerente con il piano di formazione finanziato ma non superiore ai 10 anni.

Come potremmo riassumere il concetto di autoaiuto?

Una banca mutualistica insegna il risparmio e responsabilizza le comunità dando credito a chi lo merita attingendo dal risparmio accumulato dalle comunità. Non si tratta di filantropia destinata a fare solo piccoli prestiti e, una volta terminati i fondi, l’esperienza si chiude.

L’educazione all’autoaiuto, al meritare fiducia tra i propri concittadini che affidano ad una cooperativa bancaria i propri risparmi, al gestire democraticamente i beni comuni di una comunità è la cornice al cui interno si colloca l’approccio al microcredito. Che più propriamente si potrebbe definire microfinanza, in considerazione della componente di raccolta del risparmio che la caratterizza”.

Lo studio SARCC & associati è leader nel microcredito?

Stiamo lavorando – conclude Mattei – su molti settori con la costituzione di staffe e squadre specifiche, questo ci consente di essere leader nel microcredito ed in altre ed importanti branche per il suppporto ad imprese, professionisti di diversa tipologia. Riteniamo che la ricerca e l’attuazione dei progetti sia possibile coagulando giuste competenze”.

Attività di sviluppo e ricerca dell’azienda, Lamberto Mattei: “siamo in azione con format specifici”

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Roma –  Sempre più spesso è evidente la necessità per aziende, imprese di varia tipologia di poter ricorrere alla adozione di progetti per lo sviluppo e la ricerca. Un settore nel quale il commercialista Lamberto Mattei, founder dello Studio Sarcc di Roma è fortemente impegnato. “Ogni giorno siamo al lavoro di squadra per dare risposte ai contribuenti e alle imprese, spiega Mattei –  la ricerca deve essere finalizzata alla risoluzione di criticità specifiche e deve pertanto tentare di risolvere o migliorare problemi tecnico-gestionali presenti nei cicli produttivi dell’azienda e acquisire nuove conoscenze utili all’ampliamento del business o al miglioramento significativo della attività esistente. Chiunque svolge ricerca. Tutte le aziende, a prescindere dal livello dimensionale e dal numero di addetti impiegati, svolgono, in modo più o meno consapevole, attività di Ricerca e Sviluppo per imparare, ampliare e diversificare il proprio business. La ricerca non deve necessariamente sfociare in un progetto, ma deve fornire elementi utili per arricchire la conoscenza su una determinata tematica inerente il proprio business.”. Per ulteriori informazioni consultare la brochure allegata cliccando sul link sottostante, e/o contattare lo Studio Sarcc.

StudioSarcc -Finanza Agevolata (1)