ROMA 30 DIC 2023 – L’attività di accertamento in materia di Imposta di soggiorno, sebbene faccia rimando alla generale disciplina in materia di accertamento delle imposte sui redditi, presenta talune peculiarità che derivano dalla sovrapposizione degli adempimenti comunicativi che i soggetti titolari delle strutture ricettive devono indirizzare sia al Ministero dell’Interno per finalità di pubblica sicurezza, sia al competente ente locale per gli scopi impositivi in materia di soggiorno. Ne deriva che l’automatico utilizzo per finalità impositive dei dati di pubblica sicurezza, ingenerando la violazione di molteplici diritti del contribuente, determina la nullità degli atti di accertamento eventualmente emessi. |
PREMESSA
L’art. 4 del D.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, prevede che i Comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno. Il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali.
La stessa disposizione al comma 1-bis stabilisce altresì che nei Comuni capoluogo di provincia che, in base all’ultima rilevazione resa disponibile da parte delle amministrazioni pubbliche competenti per la raccolta e l’elaborazione di dati statistici, abbiano avuto presenze turistiche in numero venti volte superiore a quello dei residenti, l’imposta di soggiorno può essere applicata fino all’importo massimo previsto per il contributo di soggiorno di Roma Capitale di cui all’art. 14, comma 16, lett. e), del D.l. 31 maggio 2010, n. 78.
Soggetto passivo dell’imposta è chi (non residente) pernotta nelle strutture specificamente individuate situate nel territorio del Comune impositore. L’imposta di soggiorno è applicata per persona sulla base delle tariffe e del numero dei pernottamenti espressamente previsti da ciascun ente, fermi restando i casi di esenzione e limitazione dal pagamento previsti dai singoli regolamenti applicativi che generalmente concernono i minori, i soggetti che necessitano di cure e assistenza medica, gli autisti di pullman e accompagnatori turistici, il personale delle forze di polizia che pernotta per lo svolgimento di attività di pubblica sicurezza, lo stesso personale della struttura ricettiva, i soggetti che si trovano in particolari situazioni di emergenza sociale e ai volontari impiegati in tali circostanze, nonché alle persone con disabilità grave.
L’imposta è applicata per singola persona in base al numero dei pernottamenti effettivi. Conseguentemente, possono essere previste delle limitazioni in caso di persone che pernottano nel Comune, anche in modo non continuativo, per periodi prolungati di tempo, contrattualmente prefissati, per frequentare corsi di studio che siano attestati nelle caratteristiche e nella durata dalle rispettive università o enti di formazione, accreditati presso gli enti territoriali, ovvero per ragioni dovute al loro lavoro, dichiarate e documentabili.
Come noto, poi, l’imposta di soggiorno va modulata in base alla tipologia della struttura ricettiva e non è comunque applicabile per chi usufruisce di camere a ore, cd. day use (vgs. Consiglio di Stato, sent. n. 1614/2019). Ne deriva che l’applicazione dell’imposta di soggiorno anche per chi usufruisce di camere cc.dd. day-use, ossia solo per alcune ore della giornata, si rileva in contrasto con l’art. 4 del D.lgs. n. 23/2011, essendo chiaro il riferimento alla durata dell’ospitalità «per notte di soggiorno».
ADEMPIMENTI, ACCERTAMENTI E SANZIONI IN MATERIA D’IMPOSTA DI SOGGIORNO
Le norme recate dall’art. 4 del D.lgs. n. 23/2011 precisano che il gestore della struttura ricettiva è responsabile non solo del pagamento dell’imposta e del contributo di soggiorno, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, ma anche della presentazione della dichiarazione.
La disposizione prevede anche che per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile si applica la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma dal 100 al 200 % dell’importo dovuto.
Per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno si applica la sanzione amministrativa di cui all’art. 13 del D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.
Assume rilievo, poi, in relazione a quanto ci occupa, la norma di cui all’art. 4 del D.l. 24 aprile 2017, n. 50, che disciplina le cosiddette locazioni brevi, vale a dire i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare.
In particolare, il comma 5-ter del medesimo art. 4, contempla una disposizione analoga a quella prevista dal comma 1-ter dell’art. 4 del D.lgs. n. 23 del 2011, secondo cui il soggetto il quale incassa il canone o il corrispettivo, ovvero che interviene nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi, è responsabile anch’esso non solo del pagamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, ma anche della presentazione della dichiarazione.
Tema del tutto diverso, ma indirettamente correlato a quello in esame, è quello degli obblighi di comunicazione in materia di pubblica sicurezza in capo ai titolari di qualsiasi struttura ricettiva che sono imposti, come noto, dall’art. 109 TULPS, secondo cui: “1. I gestori di esercizi alberghieri e di altre strutture ricettive, comprese quelle che forniscono alloggio in tende, roulotte, nonché i proprietari o gestori di case e di appartamenti per vacanze e gli affittacamere, ivi compresi i gestori di strutture di accoglienza non convenzionali, ad eccezione dei rifugi alpini inclusi in apposito elenco istituito dalla regione o dalla provincia autonoma, possono dare alloggio esclusivamente a persone munite della carta d’identità o di altro documento idoneo ad attestarne l’identità secondo le norme vigenti. 2. Per gli stranieri extracomunitari è sufficiente l’esibizione del passaporto o di altro documento che sia considerato ad esso equivalente in forza di accordi internazionali, purché munito della fotografia del titolare. 3. Entro le ventiquattr’ore successive all’arrivo, i soggetti di cui al comma 1 comunicano alle questure territorialmente competenti, avvalendosi di mezzi informatici o telematici o mediante fax, le generalità delle persone alloggiate, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno, sentito il Garante per la protezione dei dati personali.”.
Ai sensi dell’art. 1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, poi, gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato.
In tali casi, gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie secondo il procedimento stabilito negli artt. 16 e 17 del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.
In tale contesto si colloca, inoltre, il D.M. 11 novembre 2020 che ha individuato i criteri, i termini e le modalità per la fornitura da parte del Ministero dell’interno, in favore dell’Agenzia delle entrate, dei dati risultanti dalle comunicazioni prodotte dai gestori di strutture ricettive e dei proprietari o gestori di case e appartamenti, per finalità di pubblica sicurezza, di cui all’art. 109, comma 3, del TULPS.
In particolare, tale provvedimento ha stabilito che i dati sono resi disponibili dal Ministero dell’interno, in forma anonima e aggregata per ogni struttura, all’Agenzia delle entrate, che li rende disponibili ai Comuni che hanno istituito l’imposta di soggiorno, di cui all’art. 4, del D.lgs. n. 23/2011, o il contributo di soggiorno, di cui all’art. 14, comma 16, lett. e), del D.l. n. 78/2010, previsto per Roma Capitale.
Secondo l’art. 1 di tale provvedimento, l’Agenzia delle entrate utilizza i dati, unitamente a quelli trasmessi dai soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare ai sensi dell’art. 4, commi 4 e 5, del D.l. n. 50/2017, ai fini dell’analisi del rischio relativamente alla correttezza degli adempimenti fiscali mentre “I comuni utilizzano i dati ricevuti ai fini di monitoraggio e per lo svolgimento dell’attività di accertamento.”.
CRITICITÀ CONNESSE ALLO SVILUPPO DEGLI ACCERTAMENTI IN MATERIA
Come sopra ricostruito il Legislatore ha imposto precisi vincoli di utilizzo dei dati di pubblica sicurezza relativi agli alloggiati che, per ragioni di privacy, devono peraltro essere trattati con le cautele di cui al Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (cd. GDPR).
Orbene, sebbene il D.M. 11 novembre 2020 abbia consentito, come visto, la possibilità di utilizzo da parte dei Comuni di tali dati ai fini degli accertamenti di cui all’imposta di soggiorno, ha espressamente sancito che la messa a disposizione di tali dati in favore dell’Agenzia delle entrate debba avvenire in forma anonima!
Emerge in maniera lampante, quindi, come tali dati non possano essere oggetto di utilizzo diretto ai fini dell’accertamento data, in particolare, la circostanza che gli stessi contengono – in adempimento delle disposizioni dettate in materia di pubblica sicurezza e antiterrorismo – dati ed elementi riferiti a tutti gli alloggiati indistintamente considerati e, dunque, senza alcuna esclusione riferita a quei soggetti che, secondo la disciplina tributaria e i vari regolamenti applicativi, non sono soggetti a tale imposizione (es. residenti, day use, personale delle forze dell’ordine, minori, ec…).
Ne deriva necessariamente che, per essere utilizzati, in sede accertativa, quindi, l’ente impositore è tenuto ad avviare uno specifico confronto preventivo con il titolare della struttura ai fini del rispetto del principio del contraddittorio.
L’utilizzo per tabulas di detti dati, infatti, data la loro caratteristica di anonimità, sarebbe in grado di determinare, tra l’altro, un grave nocumento al diritto di difesa del contribuente come garantito dall’art. 24 della Costituzione, data la circostanza che, al fine di fornire la prova difensiva, lo stesso non potrebbe nemmeno allegare le schede relative alla comunicazione degli alloggiati per le finalità di pubblica sicurezza che, ad evidenza, contengono informazioni anagrafiche tutelate dalla disciplina sulla privacy di cui al GDPR e al Codice della privacy di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.
Presupposto del Contributo è, infatti, il pernottamento di persone (non residenti nel territorio del Comune impositore) nelle strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere, negli alloggi per uso turistico individuati dalla normativa regionale in materia di turismo, nonché negli altri immobili destinati alla locazione breve, situati nel territorio del Comune impositore.
Detti comuni sono stati individuati con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.
Il menzionato art. 14 prevede, infatti, per Roma Capitale l’introduzione di un contributo di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive della città, da applicare secondo criteri di gradualità in proporzione alla loro classificazione fino all’importo massimo di 10 euro per notte di soggiorno.
Si deve altresì aggiungere che l’art. 1, comma 1129, della legge n. 145 del 2018 ha stabilito che anche il comune di Venezia è autorizzato ad applicare, per l’accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica e alle altre isole minori della laguna, il contributo di sbarco di cui al comma 3-bis dello stesso art. 4 del D. Lgs. n. 23 del 2011, alternativamente all’imposta di soggiorno di cui al comma 1 del medesimo articolo, entrambi fino all’importo massimo 10 euro per notte di soggiorno.
La dichiarazione deve essere presentata cumulativamente ed esclusivamente in via telematica entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo e, limitatamente all’anno d’imposta 2020, deve essere presentata unitamente alla dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2021.